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sabato 28 novembre 2020

senza nome

«per chi aspetta da sempre il momento perfetto
per chi va fuori tempo, ma balla lo stesso
è una canzone senza nome
una canzone che conosci anche se non sai le parole»

La Via Vandelli. Punto. Potrei finirla qui. Anzi, potrei solo aggiungere: la Vandelli.
Il succo è che la via Vandelli (quando sta scritta sui cartelli della toponomastica, per indicare quel pezzetto di Via in quel determinato comune) o la Via Vandelli (quando la intendiamo come cammino, come la grande strada di comunicazione, la prima delle strade moderne nella sua unicità, intellettuale progettuale e ideale), la Vandelli: non ha nome.

centocinquanta chilometri di Via Vandelli (Sassuolo, Vagli, Puianello)

Nei cartelli a inizio strada, non trovate mai nessun nome proprio, nemmeno un'iniziale puntata. Perché non stiamo parlando di una piccola dedica locale a un personaggio, ma stiamo parlando di un'idea, di un sogno, di una meraviglia fatta progetto, fatta pietra, fatta sudore.
È successo che quella che nel '700 si chiamava Strada Nuova nel tempo prendesse, a furor di popolo oserei dire, il nome del suo progettista. È successo che quella memoria si sia tramandata attraverso le generazioni, di bocca in bocca, di padre di madre in figlio in figlia, che gli anziani camminando con i nipoti sul selciato del paese mormorassero orgogliosi (e quasi ancora da secoli meravigliati) "questa è la strada del duca di Modena" o "questa è la strada della Tambura" o "questa è la strada che porta in Toscana e al mare" a seconda di dove si trovassero, ma indistinatamente tutti concludevano con "questa è la Vandelli".
Chiedete a chi ci abita, sopra sotto a fianco vicino nei dintorni. Io l'ho fatto. Tutti sanno dov'è. A tutti brillano gli occhi parlandone. E tutti la chiamano col suo nome. Senza nome.

la Strada Nuova nella mappa del 1746 di Domenico Vandelli

Anche nei cartelli dei comuni che hanno riconosciuto, inevitabilmente, quella presenza così forte e luminosa, illuminata, non c'è nome. Non può esserci. Tradirebbe il senso e la tradizione.
Se poi andate a vedere nelle mappe in rete, inspiegabilmente associano a quei tratti di Via alcuni nomi: Agostino, Domenico, Francesco... Vandelli. Tutti parenti, tutti importantissimi scienziati in Italia e in Europa. E sì, può essere che in una qualche città o paese in giro per l'Italia abbiano dedicato una strada a uno di questi importanti personaggi, e lo hanno fatto, controllate. Ma non quando quel nome si sovrappone al percorso settecentesco della madre di tutte le strade moderne: lì non c'è un nome, lì c'è solo un'antonomasia: lì è per tutti la Via Vandelli. Con il suo nome senza nome, la via Vandelli, così è indicata nel catasto toscano ottocentesco e in tutte le mappe della Garfagnana.

la Via Vandelli nelle antiche mappe toscane

Come per le grandi strade romane, o di pellegrinaggio, la Via Francigena, o la Via Appia, la Via Emilia: non è la via Marco Emilio Lepido, è solo la via Emilia.
Così è per la Via Vandelli, un concetto, uno slancio, un'emozione, un'idea, un brivido, una strada di centocinquanta chilometri lastricata dalla pianura al mare attraverso due catene montuose quando nessuno osava immaginare niente di minimamente paragonabile. A tal punto che la Via Vandelli, per la maggior parte di noi indigeni nati attorno alla Via, non è neanche la Via Vandelli, è di più, è semplicemente unicamente inequivocabilmente: La Vandelli.
estati anni '80'90: "nonna, io vado in bici in paese..." e mentre già corro giù per le scale, un richiamo "vai di dietro per campagna... o fai la vandelli?"

la Vandelli all'inizio del mio paese natale

giovedì 12 dicembre 2019

linda e duratura

«Voglio una degna sepoltura quando la morte verrà e mi ghermirà, una tomba linda e duratura che mi preserverà dall'umidità»


Domenico Vandelli, nato a Levizzano Rangone il 1° marzo 1691
Francesco III d'Este, nato a Modena il 2 luglio 1698
Maria Teresa Cybo-Malaspina, nata a Novellara il 29 giugno 1725
Ercole III d'Este, nato a Modena il 22 novembre 1727

per un qualche motivo antropologico è sempre intrigante sapere dove sono sepolti i propri beniamini. basti pensare al cimitero di Père-Lachaise a Parigi dove riposano lo statunitense Jim Morrison, il polacco  Frédéric Chopin, la francese Edith Piaf il britannico Oscar Wilde e insieme Abelardo e Eloisa. o a Graceland, mausoleo di Elvis, o al cimitero acattolico di Roma con John Keats e Percy Bysshe Shelley (che proprio dopo un'ascensione lungo la Via Vandelli fino a San Pellegrino in Alpe compose "La maga dell'Atlante" nell'agosto del 1820) insieme a Gramsci, Gadda, Lussu e Camilleri. per dire.
e così non potevo non chiedermi delle sorti delle spoglie mortali dei quattro protagonisti principali dela genesi della Via Vandelli.

Levizzano Rangone, paese natale di Domenico Vandelli
Quart1984 (CC BY-SA 4.0)
mentre dei due duchi e della duchessa i luoghi di sepoltura e le attuali collocazioni delle tombe sono ben note, un più intricato mistero avvolge la sorte del progettista della Via Vandelli.
la sepoltura di Maria Teresa è la prima che ho visitato, alla basilica della Ghiara a Reggio Emilia, città dove la duchessa passava gran parte del suo tempo dopo che il consorte l'aveva lasciata per unirsi con matrimonio morganatico a Chiara Marini.

la tomba di Maria Teresa Cybo-Malaspina all'interno della basilica della Ghiara a Reggio Emilia
la seconda è stata quella di Ercole III, sepolto nella chiesa di San Vincenzo di Modena, luogo eletto nel 1836 da Francesco IV a pantheon della famiglia Estense.
prima o poi visiterò anche la tomba di Francesco III, che ora si trova nel cimitero monumentale di Giubiano a Varese, dove vennero traslate dal convento dei frati Cappuccini di Casbeno, avendo servito gli ultimi anni di vita come governatore del feudo asburgico di Varese.

il monumento funebre di Ercole III d'Este all'interno della chiesa di San Vincenzo a Modena
invece le sorti dell'ingengere-matematico-cartografo Domenico Vandelli non sono così limpide. già le circostanse della sua morte sono offuscate dalla leggenda: la più diffusa è che il Vandelli muoia suicida in seguito a una depressione conseguente al non successo proprio della Via Vandelli, o adirittura c'è chi addirittura attribuisce la causa del suicidio all'aver sbagliato il raggio dell'ultima curva prima di Massa!
«Di lui [di Domenico Vandelli n.d.r.] si valse il sopraddetto Duca Francesco III nel grandioso e difficil lavoro della magnifica strada, che per altissimi monti conduce da Massa a Castelnuovo di Garfagnana, e quindi a Modena, e dall'altra, che da' confini del Lucchese conduce a Castelnuovo. E benché poscia l'effetto di sì malagevole intrapresa non corrispondesse alle speranze, che se n'erano concepute, non puè attribuirsene la colpa al valoroso Matematico in essa impiegato. Egli infine finì di vivere improvvisamente in Modena a' 21 di Luglio del 1754, e fu onerevolmente sepolto nella Chiesa di S.Carlo.»

Girolamo Tiraboschi "Biblioteca modenese" tomo V, Modena,  Società tipografica (1783)
e proprio nella chiesa di San Carlo a Modena, dove sono stato tante volte, sono entrato pochi giorni fa stavolta con la ferma e sicura intenzione di trovare la tomba di Domenico Vandelli.
oggi la chiesa è sconsacrata e gestita dalla Fondazione Collegio San Carlo e in questi giorni è adibita alla mostra "Piccoli tesori di latta" in cui è esposta una grande collezione di antichi giochi di latta, appunto. mi aggiro per la ex-chiesa, scrutando nelle cappellette, alla ricerca di una lapide, un segno del grande matematico... ma non ne vedo. sapendo che alle volte le sepolture si nascondono dietro porte o tende, chiedo alle persone della fondazione che presidiano la mostra, ma non ne sanno nulla. esco un po' deluso ma fiducioso e scrivo una mail al servizio tecnico che cura la ex-chiesa.
la risposta arriva veloce e chiara dalla responsabile della biblioteca dell'archivio storico:
«Buongiorno,le tombe della chiesa di San Carlo sono state chiuse a partire dal 1777 e infine interrate e murate in conseguenza dell’ordinanza del Podestà di Modena del 1808.Non è rimasta memoria della tomba di Vandelli né ho trovato finora traccia di una eventuale lapide, di un suo riuso o altro che possa ricondurre alla notizia, sono spiacente.Cordialmente ...»

il pantheon estense all'interno della chiesa di San Vincenzo a Modena
approfondirò la ricerca per capire se la sorte di Domenico Vandelli è quella di non avere più un luogo di sepoltura, che la sua vita e la sua morte siano ammantate in buona parte dalla leggenda, che di lui non ci sia pervenuta nessuna immagine.
ma la sua immensa eredità sta nelle centinaia di chilometri serpeggianti della strada che porta il suo nome, vive nei passi dei viandanti che sempre più numerosi la percorrono, viene ricordato dalle targhe steli e iscrizioni che sorgono lungo il percorso della Via Vandelli.

la stele in marmo apuano dedicata a Domenico Vandelli presso La Fabbrica di Pievepelago

Domenico Vandelli, morto a Modena il 21 luglio 1754 a 63 anni
Francesco III d'Este, morto a Varese il 22 febbraio 1780 a 82 anni
Maria Teresa Cybo-Malaspina, morta a Reggio il 25 dicembre 1790 a 65 anni
Ercole III d'Este, morto a Treviso il 14 ottobre 1803 a 76 anni

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venerdì 21 dicembre 2018

traiettorie impercettibili

«cambiano le prospettive al mondo, voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili, codici di geometrie esistenziali»

come si fa a sapere se si è sulla Via?
la Via segue una traiettoria precisa e labile: precisa come il progetto di Domenico Vandelli che l'ha disegnata nel 1739, striscia lastricata che balza dalla pianura al crinale, dalle valli ai passi scoscesi; labile come i ricordi a cui i viandanti si aggrappano per far riemergere il percorso della Via tra le foglie e l'erba del tempo e delle leggende che l'ammantano.
il percorso della Via Vandelli da Modena a Massa
nell'autunno-inverno 2016-2017 ho intrapreso una lunga ricerca documentale, tra archivi e biblioteche, accompagnata da sopralluoghi in tutto il territorio attraversato dalla Via. per ricostruire esattamente il tracciato progettato dal Vandelli. e dopo essere riuscito nell'impresa, ne ho affrontata un'altra: a giugno del 2017 ho percorso in otto giorni i 150km della Via Vandelli, a piedi dal palazzo ducale di Modena al palazzo ducale di Massa.
Giulio sulla Via Vandelli mentre attraversa il passo Tambura
ma nel corso di un anno, la precisione della ricostruzione e della prima camminata si è mescolata alla labilità del percorso ripercorso da altri viandanti. e il tutto grazie a dei piccoli adesivi, briciole di pollicino che ho lasciato dietro di me, segnando la Via per la prima volta, tracce di un passaggio indelebile, indicazioni di come non perdersi. o di come perdersi.
il logo ufficiale della Via Vandelli :: Modena-Massa
e così, in rete hanno iniziato a comparire foto di altri viandanti che nel camminare la Via Vandelli hanno fotografato, oltre alla Via al panorama alle persone alle case alle pietre agli alberi al cielo alle speranze alla nuova vita, hanno fotografato anche i miei adesivi, vecchi di un anno, che stanno ancora a indicare la Via: la Via è una.
una caccia al tesoro lunga 150km, che parte dal frontespizio del libro "La Via Vandelli - Antica strada, nuovo cammino" e accompagna il viandante dalla pianura emiliana, attraverso il Frignano e la Garfagnana, scavalcando le Alpi Apuane fino al mar Tirreno.

cercate gli adesivi, camminate la Via, illuminate la vostra vita.

foto di Roberto

foto di Andrea e Matteo
foto di Donatella e Marco
foto di Sabrina
foto di Luigi
foto di Francesca
foto di Marco
foto di Lorenzo
foto di Roberto

giovedì 23 marzo 2017

possibili percorsi

«i libri, possibili percorsi, le mappe, le memorie, l’aiuto degli altri, s’alzano gli occhi al cielo»

finalmente, come chi raggiunge, sono stato alla Biblioteca Estense a cercare due dei documenti che più mi hanno intrigato durante questa ricerca:

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Questi due libri sono spesso citati come l'unica fonte letteraria che parli della Via Vandelli nell'800: un periodo in cui mi immagino che l'uso della Via Vandelli come strada principale fosse ormai decaduto, ma ancora la meomria del percorso fosse vivida e che venisse usata molto più di ora per i trasferimenti delle genti di montagna.
Entro in biblioteca, faccio la mia richiesta, sbrigo un po' di burocrazia e di incredulità, mi siedo tra i tavoli dove pochi govani studiano e altrettanto pochi adulti sfogliano per ricerche altrettanto immaginarie che la mia, immagino.
Finalmente ho i libri sul tavolo, Il Montanaro in una ristampa anastatica e L'Appennino Modenese in originale: non nascondo che l'emozione fosse soverchiata dalla curiosità di leggere cosa gli antichi scrivessero della Via Vandelli.

L'incipit dedicato alla Via Vandelli, all'interno de L'Appennino Modenese descritto e illustrato 
Inizio da L'Appennino Modenense, al cui interno A.Ferrari dedica un intero capitolo alla viabilità dell'appennino e ovviamente una lunga parte alla Via Vandelli. E' bello leggere come forse per la prima volta viene descritta la nascita della Via Vandelli, in un modo che rimane praticamente immutato da un libro dell'800 fino a Wikipedia, passando per i libri stampati a fine del secolo scorso e i siti web di escursionisti.
Essendo egli (Francesco III, ndr) riuscito ad annettere il ducato di Massa-Carrara ai propri stati mercè il matrimonio [...], allo scopo di mettersi in comunicazione diretta e comoda con quelle lontane provincie, ordinò l'apertura d'una strada che unisse le capitali dei due dominii.
Poi il Ferrari passa a descrivere il primo percorso del 1738, quello che ricalca la via Bibulca e subito dopo quello del 1739 che parte dalla valle del Tiepido.
Tra le ammirevoli pagine ho selezionato alcuni brani che mi hanno conquistato, alcuni per l'orgoglio che mi suscita lo stare ricostruendo il percorso della prima strada illuminista d'Europa.
Tanto nell'andata che nel ritorno il Duca mostrò la più viva soddisfazione «per essere grande, ben disposta, e meglio eseguita» la nuova osteria sopra S.Andreapelago«la strada in una situazione ancor al di là della sua aspettativa» e si mostrò molto contento dello zelo e dell'attività del suo matematico Vandelli.
Oppure perché raccontano delle vicende storiche che ho tanto rigirato, come la guerra di successione asburgica, che ha fermato per 10 anni i lavori della Via Vandelli.
Nel 1751 il piano stradale venne allargato, si raddrizzarono le più gravi pendenze, si eressero muri di sostegno e furono costruite nuove fabbriche ed amliate le preesistenti. Molti ingegneri e gran numero d'uomini vi lavorarono anche nei giorni festivi.
Oppure, infine, perché vi ho riconosciuto i semi di quelle dicerie, per me ingenerose, di fallimento del progetto della Via Vandelli.
Ma gli sforzi del Duca e del suo governo [...] non valsero ad accreditare la nuova strada [...] svolgentesi con mille tortuosissimi serpeggiamenti e con enormi pendenze sul cacume deserto ed inospitale delle nostre montagne; bersaglio di venti impetuosi e di letali bufere, minata nella saldezza e nella continuità...
È per me incredibile constatare come queste parole, quasi come fossero state mandate a memoria da un popolo italico pronto alla critica e invidioso della ragione, questi esatti motivi vengono ripetuti ancora oggi non appena qualcuno chiede notizie sulla Via Vandelli: pendenze, inverni rigidi, frane...

L'indice del periodico ottocentesco di Pievepelago Il Montanaro
Minor fortuna ho avuto con Il Montanaro, in quanto, pur avendo tra le mani la collezione di tutti i numeri usciti nei sette anni in cui è stato edito, non sono riuscito a trovare, con il poco tempo a disposizione, informazioni utili sulla Via Vandelli.
Daltraparte mi sono eccessivamente dilettato a leggere meravigliosi articoli di vita quotidiana dell'appennino nell'ottocento, di cui potete avere un'idea dalla prima pagina dell'indice di una delle annate. È impossibile non perdersi nella descrizione delle fantastiche trote del lago Santo, o incuriosirsi sulla osservanza del II e III comandamento di dio a Riolunato, non appassionarsi alla botta e risposta tra redattori e lettori, o finire col chiedersi se i lombrichi siano amici o nemici dell'agricoltura.
Per lasciarvi con la curiosità in bocca, non posso che regalarvi l'inizio di una meravigliosa cronaca di una mirabolante partita di ruzzolone tra Pievepelago e Barigazzo e con la dimostrazione scientifica, perché anche oggi ce n'è urgente bisogno, dell'eliocentrismo. Che l'alba sorga sulla Via! Ma schivate le ruzzole arrembanti...





www.viavandelli.com #viavandelli @viavandelli

venerdì 3 marzo 2017

Itaca

«Capitano che hai negli occhi il tuo nobile destino pensi mai al marinaio a cui manca pane e vino?»

Ierilaltro, primo marzo, era il compleanno di Domenico Vandelli: ingengnere, matematico, cartografo, abate, antiquario, architetto, archeologo, passeggiatore. Di 326 anni.
Scorrendo Wikipedia si legge, lapidariamente: Levizzano Rangone, 1º marzo 1691Modena, 21 luglio 1754.
E così ierilalatra notte ho risalito uno degli spartiacque pedecollinari per inquadrare in un solo scatto Levizzano in primo piano, il Santuario di Puianello sullo sfondo, la netta curva della Via Vandelli nei pressi delle Salse di Puianello appena a destra del santuario, il cielo stellato sopra di me e infine la legge morale in disparte. La foto l'ha scattata il ben più sgamato Daniele.
Levizzano, paese natale del Vandelli. Sullo sfondo: Puianello e la Via Vandelli.
Foto di Daniele Ferrari.
E appoggiato lì, a un cielo terso dall'odore sciroccoso di primavera anticipata, a un buio sorpreso di luci di case e cortili abbai in lontananza trattori ritardatari. lì, mi passa a un metro il pensiero di Domenico Vandelli, fanciullo correre per i prati declivi di un merlato paese, un paese diverso, più piccolo dentro le mura, poche case e un castello. Ancora non c'era il cimitero napoleonico, ma c'erano case coloniche sparse tra i campi terrazzati e delimitati, coltivati e abitati, curati vissuti amati, facenti parte del paesaggio molto più 300 anni fa di quanto non lo siano oggi.
ortofoto di Levizzano del 1954
ortofoto di Levizzano del 2011

Me lo immagino in un qualche modo giovane e puberale indossare abiti castigati per studiare da gesuita, che per studiare bisogna farsi prete, e se sei di famiglia nobile bisogna studiare. Me lo immagino applicarsi ignaro del suo futuro, come chi muove i primi passi lungo una strada, con una meta ma inevitabilmente in balìa del destino.
Immagino un uomo della nostra terra emiliana, con la parlata infinitamente galla, dalle vocali lunghe e sospese. Un uomo pratico che ha visto lavorare la terra e uccidere il maiale, che sa che la miseria spezza la schiena.
Me lo immagino imparare la scienza, farsi guidare dalla ragione, conoscere il mondo con l'esperienza, indagare portando luce: me lo immagino un illuminista.
Ma so che Domenico Vandelli è stato anche un abate e un cortigiano, un uomo tormentato fino alla morte improvvisa.
Lo vedo, in questa notte con le luci della pianura alle spalle, avvolgersi in un tabarro e camminare lungo i crinali di una terra argillosa, esplorare ogni spartiacque tra il Secchia e il Panaro alla ricerca del crinale migliore in cui far passare la via nuova verso la Garfagnana. Lo immagino nei boschi, solo e determinato, tra il fango o tra le razze, lungo i più di venti chiolmetri sopra i 1300 che collegano Lama con i passi verso la Toscana. Lo so che si è fermato, sguardo alto, fronte corrugata, proprio sul crinale, dove oggi passa lo 00, a soppesare il passo migliore in cui far passare le carrozze e gli eserciti del duca. I suoi passi sicuri, tornare dove secoli prima era stato governatore Ludovico Ariosto, in Garfagnana, seguirne i fiumi, scervellarsi per trovare una via di uscita dalla valle del Serchio, con una stretta lingua di terra Estense che lo obbligava ad affrontare i giganti Apuani, scendere affannosamente come un relitto in vista della spiaggia verso il mare e Massa.
Così, lo percepisco frusciare nel tabarro anche stanotte, mentre torna a casa, nel suo paese natìo, e odo che ancora biascica parole amare contro il Colombini e si cruccia della sua più mirabile invenzione, le isoipse, disegnate per la prima volta nella storia dell'umanità proprio da lui su una carta topografica, quella del 1746 per gli stati del serenissimo signor duca in italia.
Le isoipse, create per la necessità di tracciare con umana ragione mirabile la Via Vandelli, arrampicarsi, inarcarsi, zigzagare e slanciarsi tra montagne d'argilla e marmo, da una pianura madida di umidità fino al mare.
Poi respiro. E la notte sempre uguale mi inebria con l'odore della polvere sempre uguale della strada e dei sogni. Mutevoli.


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