«Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta, ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta: qualcuno è andato per formarsi, chi per seguire la ragione, chi perché stanco di giocare, bere il vino, sputtanarsi ed è una morte un po' peggiore...»
manmano che ho fatto i miei sopralluoghi sulla
Via Vandelli ha iniziato a prodursi una singolare coincidenza di immagini sovrapposte.
nella mia rètina erano impresse le foto che ho lungamente guardato e studiato con passione sui
libri anni '80 dell'Artioli, che ho in casa da quando mio nonno li ha portati a casa freschi di stampa. immagini vecchie solo di trentanni, ma che per trentanni si sono sedimentate: fotografie con i crinali innevati, con i paesi sommersi, con gli oratori isolati, con le torri innalzate, con le tortuose curve delle Apuane, con i selciati antichi stesi fino al mare.
e mentre cammino, sopralluogo dopo sopralluogo, rivedo gli stessi luoghi, trentanni dopo. il primo che ho riconosciuto è stata la scoscesa salita vista dall'imbocco del Malandrone, che dal Rio Torto risale verso Pavullo. e lì ho riconosciuto la frana che tutto dilava, ma in trentanni ho visto che la collina si è rimboschita, perché il tempo passa e perché le colline e montagne vengono abbandonate dalle coltivazioni.
poi ho visto e riconosciuto il filare di querce che accompagna la strada selciata a Cà Usercia, che adesso si chiama Cà Bosi. Da nessuna parte si vedono resti dei pozzi petroliferi di Cà Ghinelli, eppure ancora presenti e così fascinosamente immortalati alla fine degli anni '80.
ho cercato le maestà, le case, i borghi, gli scorci che erano le mie uniche tracce in Garfagnana per ritrovare il percorso originale della
Via Vandelli. e alcuni li ho ritrovati, altri li ho immaginati.
le emergenze che però mi hanno colpito di più sono state le trasformazioni delle osterie, delle locande e delle stazioni di posta.
tralascerò l'osteria del Cantone di Mugnano, appena fuori Modena, accennando solo al fatto che in trentanni si è trasformata da ristorante ancora attivo a casa murata con le finestre chiuse da assi di legno inchiodate. l'autostrada del sole ha schiacciato il Cantone in una presa mortale.
dirò di tre osterie, o stazioni di posta invece. perché queste infrastrutture sono una delle caratteristiche che rendono unica ed esemplare la
Via Vandelli: Domenico Vandelli non ha progettato solo una strada per il Duca Francesco III d'Este, ma ha progettato una vera e propria infrastruttura, un asse attrezzato, dotato di tutti i servizi necessari al viaggiatore: osterie per il vitto, locande per l'alloggio, poste per il rifornimento e il cambio cavalli. e tutto questo per la prima volta, dopo secoli in cui l'umanità si era limitata a tracciare sentieri e percorsi da pastori o pellegrini: potenza dell'illuminista intelletto umano!
dirò di Fabbrica, la locanda sopra Pievepelago che lo stesso Francesco III loda
«per essere grande, ben disposta, e meglio eseguita». Nelle foto degli anni '80 appare distrutta, un rudere, muri al limite del crollo. Eppure al suo interno nascondeva la stanza del duca, camini con gli stemmi estensi e altre meraviglie. meraviglia trovarla invece trentanni dopo perfettamente ristrutturata, ospitare abitazioni e probabilmente un punto ristoro: come duecentocionquantaepiù anni fa!
appena disceso il confine tra l'Emilia e la Toscana, invece, siede sulla costa di monte di fronte a Chiozza, l'osteria della Bettola. la foto contenuta nei libri dell'Artioli degli anni '80 è una delle più romantiche: con un'anziana signora appoggiata alla tipica porta su due piani da osteria, che ancora protegge l'antico retaggio d'accoglienza, antico duecentoepiù anni. quando ci sono passato all'inizio di questa primavera, mentre passoapasso ricalcavo il percorso antico della
Via Vandelli nello scendere da San Pellegrino in Alpe, a stento l'ho riconosciuta. o meglio, l'ho riconosciuta subito, ma lo stato mi ha provocato un sussulto: macerie e alberi cresciuti dentro le stanze ora a cielo aperto, ma inequivocabilmente l'insegna della bettola ancora ammiccante e inequivocabile. della vecchia, nessuna traccia, solo io.
e infine dirò della capanna d'abrì, che accoglie i viaggiatori all'imbocco della valle d'Arnetola, lasciatosi alle spalle il paese di Vagli sopra, quando il cuore si spaura davanti alle bianche e impervie creste Apuane. anche l'antico nostro progettista dev'essersi spaurito e ha costellato la salita verso la Tambura di ripari per il viaggiatore. ecco, la capanna d'abrì, l'antico casone d'Arnetola, sta lì, duecentocinquantaepiù anni fa, come trenta anni fa, come oggi: grigio, sotto un masso ugualmente grigio, con una porta piccola che altro non è che l'imbocco verso il nero ventre che cova ancora per qualche minuto od ora il viaggiatore che si senta sovrastato. ora come allora.
in questo giro di osterie, locande e poste, distrutte, rinate o ancora salde, sotto la pelle fredda della pietra e dei secoli, appoggiando una mano agli infissi di legno, appoggiando la schiena ai muri antichi, appoggiando la fronte alle vite degli uomini ancora si può sentire il suono dei bicchieri che brindano tra viaggiatori sconosciuti, il crepitare del fuoco che scalda dal rigido inverno, i brividi di chi dorme febbricitante per la fatica o il freddo, la speranza di chi viaggia e si muove e muta e trasforma il mondo.