giovedì 23 marzo 2017

possibili percorsi

«i libri, possibili percorsi, le mappe, le memorie, l’aiuto degli altri, s’alzano gli occhi al cielo»

finalmente, come chi raggiunge, sono stato alla Biblioteca Estense a cercare due dei documenti che più mi hanno intrigato durante questa ricerca:

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Questi due libri sono spesso citati come l'unica fonte letteraria che parli della Via Vandelli nell'800: un periodo in cui mi immagino che l'uso della Via Vandelli come strada principale fosse ormai decaduto, ma ancora la meomria del percorso fosse vivida e che venisse usata molto più di ora per i trasferimenti delle genti di montagna.
Entro in biblioteca, faccio la mia richiesta, sbrigo un po' di burocrazia e di incredulità, mi siedo tra i tavoli dove pochi govani studiano e altrettanto pochi adulti sfogliano per ricerche altrettanto immaginarie che la mia, immagino.
Finalmente ho i libri sul tavolo, Il Montanaro in una ristampa anastatica e L'Appennino Modenese in originale: non nascondo che l'emozione fosse soverchiata dalla curiosità di leggere cosa gli antichi scrivessero della Via Vandelli.

L'incipit dedicato alla Via Vandelli, all'interno de L'Appennino Modenese descritto e illustrato 
Inizio da L'Appennino Modenense, al cui interno A.Ferrari dedica un intero capitolo alla viabilità dell'appennino e ovviamente una lunga parte alla Via Vandelli. E' bello leggere come forse per la prima volta viene descritta la nascita della Via Vandelli, in un modo che rimane praticamente immutato da un libro dell'800 fino a Wikipedia, passando per i libri stampati a fine del secolo scorso e i siti web di escursionisti.
Essendo egli (Francesco III, ndr) riuscito ad annettere il ducato di Massa-Carrara ai propri stati mercè il matrimonio [...], allo scopo di mettersi in comunicazione diretta e comoda con quelle lontane provincie, ordinò l'apertura d'una strada che unisse le capitali dei due dominii.
Poi il Ferrari passa a descrivere il primo percorso del 1738, quello che ricalca la via Bibulca e subito dopo quello del 1739 che parte dalla valle del Tiepido.
Tra le ammirevoli pagine ho selezionato alcuni brani che mi hanno conquistato, alcuni per l'orgoglio che mi suscita lo stare ricostruendo il percorso della prima strada illuminista d'Europa.
Tanto nell'andata che nel ritorno il Duca mostrò la più viva soddisfazione «per essere grande, ben disposta, e meglio eseguita» la nuova osteria sopra S.Andreapelago«la strada in una situazione ancor al di là della sua aspettativa» e si mostrò molto contento dello zelo e dell'attività del suo matematico Vandelli.
Oppure perché raccontano delle vicende storiche che ho tanto rigirato, come la guerra di successione asburgica, che ha fermato per 10 anni i lavori della Via Vandelli.
Nel 1751 il piano stradale venne allargato, si raddrizzarono le più gravi pendenze, si eressero muri di sostegno e furono costruite nuove fabbriche ed amliate le preesistenti. Molti ingegneri e gran numero d'uomini vi lavorarono anche nei giorni festivi.
Oppure, infine, perché vi ho riconosciuto i semi di quelle dicerie, per me ingenerose, di fallimento del progetto della Via Vandelli.
Ma gli sforzi del Duca e del suo governo [...] non valsero ad accreditare la nuova strada [...] svolgentesi con mille tortuosissimi serpeggiamenti e con enormi pendenze sul cacume deserto ed inospitale delle nostre montagne; bersaglio di venti impetuosi e di letali bufere, minata nella saldezza e nella continuità...
È per me incredibile constatare come queste parole, quasi come fossero state mandate a memoria da un popolo italico pronto alla critica e invidioso della ragione, questi esatti motivi vengono ripetuti ancora oggi non appena qualcuno chiede notizie sulla Via Vandelli: pendenze, inverni rigidi, frane...

L'indice del periodico ottocentesco di Pievepelago Il Montanaro
Minor fortuna ho avuto con Il Montanaro, in quanto, pur avendo tra le mani la collezione di tutti i numeri usciti nei sette anni in cui è stato edito, non sono riuscito a trovare, con il poco tempo a disposizione, informazioni utili sulla Via Vandelli.
Daltraparte mi sono eccessivamente dilettato a leggere meravigliosi articoli di vita quotidiana dell'appennino nell'ottocento, di cui potete avere un'idea dalla prima pagina dell'indice di una delle annate. È impossibile non perdersi nella descrizione delle fantastiche trote del lago Santo, o incuriosirsi sulla osservanza del II e III comandamento di dio a Riolunato, non appassionarsi alla botta e risposta tra redattori e lettori, o finire col chiedersi se i lombrichi siano amici o nemici dell'agricoltura.
Per lasciarvi con la curiosità in bocca, non posso che regalarvi l'inizio di una meravigliosa cronaca di una mirabolante partita di ruzzolone tra Pievepelago e Barigazzo e con la dimostrazione scientifica, perché anche oggi ce n'è urgente bisogno, dell'eliocentrismo. Che l'alba sorga sulla Via! Ma schivate le ruzzole arrembanti...





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venerdì 17 marzo 2017

dolcemente viaggiare

«illuminare chiaramente la strada per saper dove andare. con coraggio gentilmente, gentilmente dolcemente»

non appena si è fatto il dolce autunno, ho iniziato a perlustrare il tracciato della Via Vandelli, dopo averlo accarezzato e studiato per mesi nel finire dell'estate.
ho iniziato da vicino, tra le salite e le discese dei rii appenninici modenesi; poi lontano oltre il crinale girovagando in Garfagnana e iniziando a grattare i pendii delle apuane; e ancora tornato a metà strada quando la Via Vandelli inizia a puntare verso gli spartiacque dell'alto appennino prima di Cento Croci; e in questo andirivieni sentimentale sono tornato il più vicino possibile al mio paese natale.


un piccolo assaggio di ciò che sarà, necessario per dirimere alcuni nodi nel percorso e non tentennare troppo durante il viaggio della prossima estate.
una specie di trailer del viaggio, centellinato il più possibile, ma che mi serve per addolcire il passo, la camminata, per appianare i pensieri e nei pensieri assimilare la Via.

la Via Vandelli attraversa l'antica Torre Maina

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venerdì 10 marzo 2017

una nessuna centomila

«hanno vinto le rotonde e i ponti a quadrifoglio alle uscite autostradali»

La memoria della Via Vandelli non scompare: è viva forte urgente in tutte le genti che ne sono state toccate. il tracciato può essere stato sommersodeviatoricoperto, franato, lacerato, ma è rimasto vivido ed emozionante in tutte le persone che hanno vissuto un pezzetto di vita in prossimità. basta passeggiare per i paesi che sono attraversati dalla Via Vandelli, o forse anche solo nel territorio circostante e chiedere ai passanti: e le parole sgorgheranno, gli indici indicheranno, le storie si ammonticchieranno, le leggende accorreranno, i pensieri di vita Via e fantasia si intrecceranno.

Ma non solo, il nome della Via Vandelli è così forte ed evocativo che rimane anche impresso nella toponomastica. Parleremo qui delle vie e strade e viottoli che portano il nome di Via Vandelli solo nei comuni che sono veramente attraversati dalla Via Vandelli nel suo tracciato originale del 1739.

il percorso originale del 1739 della Via Vandelli da Modena a Massa
Parto da Modena, dove esiste una via col nome del Vandelli, ma che non c'entra col percorso della Via. Si trova defilata nella zona nord della città, non lontano dalla casa-museo di Enzo Ferrari.
Nel comune di Castelnuovo Rangone, la Via Vandelli attraversa il paese di Montale, dove ha correttamente il suo nome: Via Vandelli di nome e di fatto.
Sotto Formigine, nuovamente la Via Vandelli c'è. E proprio nel punto in cui si stacca dalla strada statale 12, poco dopo Colombaro, e punta verso Pozza, ecco lì, indica il vero tracciato della Via.
Proprio la Via Vandelli originale continua nel comune di Maranello e continua verso Gorzano, guada il Tiepido e poi raggiunge Torre Maina. Ma, proprio lì, la strada che sale verso il santuario di Puianello, pur avendo il nome della Via Vandelli, non rispecchia il tracciato originale.
Nel comune di Serramazzoni, una piccola strada porta il nome di Via Vandelli, vicino al centro del paese, e di certo non è la Via del 1739, forse un brandello della bretella che sale da Sassuolo.
Nessuna Via Vandelli attestata nel comune di Pavullo nel Frignano. Poi nemmeno a Lama Mocogno o RiolunatoPievepelago o Frassinoro: come se la Via Vandelli fosse così presente da non dover nemmeno essere nominata.
A Pieve Fosciana, lungo la discesa del San Pellegrino, compare una Via Vandelli che ripercorre il tracciato originale.
E di nuovo poco più in là, in comune di Castiglione di Garfagnana, entrando nel paese di Campori, la Via Vandelli è correttamente indicata davanti alla pieve.
A Castelnuovo Garfagnana nessuna strada porta il nome della Via Vandelli.
In comune di Camporgiano, nel paese di Poggio, la vera Via Vandelli riappare, una via che scende verso il torrente Edron e scompare tra i campi.
Nel comune di Careggine non compare nessuna strada con tale nome.
La Via Vandelli che sale dal lago di Vagli, nel comune di Vagli Sotto, e si inerpica dentro il paese di Vagli Sopra corrisponde al percorso originale, pur avendo qualche dubbio sui tornanti dentro al paese.
E anche nell'intero comune di Massa nessuna via porta il nome della Via Vandelli.

la Via Vandelli e l'ombra di un viandante.
Come gobbe di un serpente marino che percorre tutto il territorio che fu Estense, la Via Vandelli col suo corretto nome emerge e scompare sotto il pelo della terra, amata e percorsa, trattenuta e dimenticata come le vestigia di un antenato: la progenitrice di tutte le moderne vie di comunicazione.

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mercoledì 8 marzo 2017

mastica e sputa

«mastica e sputa da una parte il miele mastica e sputa dall'altra la cera mastica e sputa prima che faccia neve»

ho visto la cava ho visto il bianco ho visto i cartelli di divieto e le reti rosse ho visto la montagna sgretolarsi in candore.
poi mi sono confuso, insieme alla viabilità di cava, ai sentieri cai, alla Via Vandelli schiacciata sotto un peso immane. e ho camminato su un percorso non originale, sbandato e deviato da altre esigenze umane, dal profitto e dalla convenienza. ma appena ho messo la testa fuori dal bosco ho capito di aver sbagliato: e che la Via passava più in là.
La cava del monte Pallerina. Si vede passare la Via Vandelli ai piedi della cava.
Durante l'autunno ho esplorato un brevissimo tratto della valle d'Arnetola (troppo poco tempo, colpa di un cuoco di Vagli Sopra che per un'ora ha affettato salumi a mano per quello che doveva essere un veloce spuntino). Ma questo breve assaggio è bastato per capire da una parte la fatica del Domenico Vandelli nel disegnare un percorso in una valle così aspra e dall'altra che le attività estrattive avevano irremediabilmente cambiato la viabilità nella valle e sommerso di rottami di marmo il percorso originale della Via Vandelli. Tanto che anche il cai ha dovuto dare indicazioni fuorvianti su quale sia il percorso della Via Vandelli. Tanto che ho capito che era dovuto nuovamente un lavoro di recupero del tracciato originale, nuovamente sommerso: pochi chilometri prima sotto l'acqua, ora sotto cascate immobili di rocce bianche e preziose fatte a brandelli.
La cava del monte Pallerina, dal 1954 al 2013.
La Via Vandelli percorre il lato sinistro dell'immagine, oggi sommersa dal ravaneto.
So poco delle Alpi Apuane. Ne so la meraviglia che suscitano al solo nome, alpi e non appennini; so delle ricerche di scuola, che insegnano a enumerare catene montuose risorse naturali confini e capoluoghi; so di profili vaghi lontani, cercati nelle passeggiate che svalicano oltre il sentiero 00, evocati dai più vecchi con sguardi lanciati verso il mare; so di stragi, raccontate, con fare didascalico e sempre un po' troppo moralista. Ma ricordo nettamente la prima e unica volta che mi ci sono inoltrato, nell'estate del 2007, quando in bicicletta io e Moreno abbiamo percorso i due versanti degli appennini alla ricerca degli ultimi Festival dell'Unità: correvamo a pedali sul lungomare di Marina di Massa, con le Alpi Apuane a levante, e una volta arrivati a Carrara ci siamo infilati sulle orme degli anarchici lungo le venature del carbonato di calcio fino a Fantiscritti per scendere con le ruote pesanti e gli ingranaggi bianchi scolpiti ed affondare nell'altrettanto bianco lardo.
La capanna d'abrì che era l'antico casone della valle d'Arnetola a servizio della Via Vandelli

Così non so se questo dilavare delle Alpi Apuane in frammenti usati per gioco e per arte ma soprattutto per soldi sia una sciuagura o solo un'unghiata dell'uomo sulla pelle della madre terra che si rimarginerà...
...ma so il mio pregustare tutto il nuovo che mi arriverà calpestando il friabile percorso della Via Vandelli che si adagia silenziosa, sgorgata dalle pianure modenesi, pronta all'ultimo balzo sulle pareti apuane: come sangue di polvere e roccia, rappreso nel sudore e nei ricordi di genti povere e libere.

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venerdì 3 marzo 2017

Itaca

«Capitano che hai negli occhi il tuo nobile destino pensi mai al marinaio a cui manca pane e vino?»

Ierilaltro, primo marzo, era il compleanno di Domenico Vandelli: ingengnere, matematico, cartografo, abate, antiquario, architetto, archeologo, passeggiatore. Di 326 anni.
Scorrendo Wikipedia si legge, lapidariamente: Levizzano Rangone, 1º marzo 1691Modena, 21 luglio 1754.
E così ierilalatra notte ho risalito uno degli spartiacque pedecollinari per inquadrare in un solo scatto Levizzano in primo piano, il Santuario di Puianello sullo sfondo, la netta curva della Via Vandelli nei pressi delle Salse di Puianello appena a destra del santuario, il cielo stellato sopra di me e infine la legge morale in disparte. La foto l'ha scattata il ben più sgamato Daniele.
Levizzano, paese natale del Vandelli. Sullo sfondo: Puianello e la Via Vandelli.
Foto di Daniele Ferrari.
E appoggiato lì, a un cielo terso dall'odore sciroccoso di primavera anticipata, a un buio sorpreso di luci di case e cortili abbai in lontananza trattori ritardatari. lì, mi passa a un metro il pensiero di Domenico Vandelli, fanciullo correre per i prati declivi di un merlato paese, un paese diverso, più piccolo dentro le mura, poche case e un castello. Ancora non c'era il cimitero napoleonico, ma c'erano case coloniche sparse tra i campi terrazzati e delimitati, coltivati e abitati, curati vissuti amati, facenti parte del paesaggio molto più 300 anni fa di quanto non lo siano oggi.
ortofoto di Levizzano del 1954
ortofoto di Levizzano del 2011

Me lo immagino in un qualche modo giovane e puberale indossare abiti castigati per studiare da gesuita, che per studiare bisogna farsi prete, e se sei di famiglia nobile bisogna studiare. Me lo immagino applicarsi ignaro del suo futuro, come chi muove i primi passi lungo una strada, con una meta ma inevitabilmente in balìa del destino.
Immagino un uomo della nostra terra emiliana, con la parlata infinitamente galla, dalle vocali lunghe e sospese. Un uomo pratico che ha visto lavorare la terra e uccidere il maiale, che sa che la miseria spezza la schiena.
Me lo immagino imparare la scienza, farsi guidare dalla ragione, conoscere il mondo con l'esperienza, indagare portando luce: me lo immagino un illuminista.
Ma so che Domenico Vandelli è stato anche un abate e un cortigiano, un uomo tormentato fino alla morte improvvisa.
Lo vedo, in questa notte con le luci della pianura alle spalle, avvolgersi in un tabarro e camminare lungo i crinali di una terra argillosa, esplorare ogni spartiacque tra il Secchia e il Panaro alla ricerca del crinale migliore in cui far passare la via nuova verso la Garfagnana. Lo immagino nei boschi, solo e determinato, tra il fango o tra le razze, lungo i più di venti chiolmetri sopra i 1300 che collegano Lama con i passi verso la Toscana. Lo so che si è fermato, sguardo alto, fronte corrugata, proprio sul crinale, dove oggi passa lo 00, a soppesare il passo migliore in cui far passare le carrozze e gli eserciti del duca. I suoi passi sicuri, tornare dove secoli prima era stato governatore Ludovico Ariosto, in Garfagnana, seguirne i fiumi, scervellarsi per trovare una via di uscita dalla valle del Serchio, con una stretta lingua di terra Estense che lo obbligava ad affrontare i giganti Apuani, scendere affannosamente come un relitto in vista della spiaggia verso il mare e Massa.
Così, lo percepisco frusciare nel tabarro anche stanotte, mentre torna a casa, nel suo paese natìo, e odo che ancora biascica parole amare contro il Colombini e si cruccia della sua più mirabile invenzione, le isoipse, disegnate per la prima volta nella storia dell'umanità proprio da lui su una carta topografica, quella del 1746 per gli stati del serenissimo signor duca in italia.
Le isoipse, create per la necessità di tracciare con umana ragione mirabile la Via Vandelli, arrampicarsi, inarcarsi, zigzagare e slanciarsi tra montagne d'argilla e marmo, da una pianura madida di umidità fino al mare.
Poi respiro. E la notte sempre uguale mi inebria con l'odore della polvere sempre uguale della strada e dei sogni. Mutevoli.


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giovedì 2 marzo 2017

via via vieni via di qui

«Via, via, vieni via con me entra in questo amore buio, non perderti per niente al mondo...»

Ho avuto per lungo tempo il dubbio di quale percorso seguire per uscire da Modena. Poi oggi, scrivendo l'articolo sul compleanno di Domenico Vandelli, sono incappato in un sito che racconta la storia delle isoipse. E lì ho trovato un bell'ingrandimento della mappa del 1746, proprio con il dettaglio della città di Modena.
Dettaglio della mappa del Vandelli del 1746.

E così ho la conferma che per uscire da Modena percorrerò la Via Vignolese e poi Via Vaciglio.
E la conferma a gratis del passaggio della Via Vandelli da Montale. E così i miei piedi poggeranno taccopunta il più possibile sulle antiche strade.
Presto dovrò fare una visita all'archivio storico di Modena.

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